Nuova Musica Antica: un’idea e al tempo stesso un metodo. L’ensemble Murmur Mori, nato nel 2015 per volontà di Mirko Volpe e Silvia Kuro, si concentra sull’intenzione di dar suono ad una ricchissima eredità poetica popolare, mettendo in musica antiche poesie in volgare, incrociando la musica popolare tradizionale italiana con le fonti manoscritte medievali. Ciò che possiamo ascoltare è musica nuova perché scritta da autori contemporanei ma antica in quanto frutto di uno studio meticoloso e pertanto filologicamente molto vicina alle intenzioni originali. Un progetto coraggioso, del tutto scevro da qualunque deriva modernista e condotto con coerenza e passione.
LG: Nuova musica antica: ricostruzione o riscrittura?
MM: Come suonava la musica medievale ai suoi tempi? Quale il suono degli strumenti musicali? Queste domande originano da sempre vere e proprie battaglie tra musicologi, studiosi e musicisti, ma nemmeno oggi abbiamo una risposta definitiva e probabilmente mai l’avremo. Dobbiamo ricordare che non esistevano dei canoni fissi di accordatura e soprattutto di costruzione degli strumenti musicali. Forse questo pensiero potrebbe apparire sconcertante, però i secoli medievali erano molto diversi dai nostri godendo di una maggiore libertà artistica ed interpretativa. Nei vari romanzi di Tristano per esempio, il cavaliere e musicista accorda e scorda la sua arpa continuamente in base al sentimento dei brani che deve eseguire o della voce che deve accompagnare. In Flamenca, romanzo occitano del XIII secolo, vi sono delle bellissime descrizioni di feste di corte dove in enormi stanze all’interno di castelli, dopo aver desinato, in ogni angolo si potevano udire canti ed arie sugli argomenti più disparati e poi melodie provenienti da un vasto assortimento di strumenti musicali che azzardavano accordature diverse. Tutti volevano attirare l’attenzione per ricevere doni e gloria grazie alla loro arte. Non caos, ma tanti artisti che si esibiscono cercando l’attenzione dell’uditorio, intrigandolo con storie, canzoni e musiche ben eseguite, note e sconosciute. Nel Novellino, raccolta italiana di novelle redatta nel XIII secolo, nella novella LXIV i giovani donzelli cantano nuove arie e dei giudici decidono quali saranno le opere da scrivere nei manoscritti per conservarne memoria e quali invece hanno ancora bisogno dei loro consigli per poter migliorare. Per fortuna alcune di queste fonti manoscritte sono sopravvissute ai secoli ed alle vicissitudini umane e naturali, conservando al loro interno le testimonianze musicali riportate direttamente dalle mani dei nostri antenati medievali. Grazie a queste fonti è possibile scorgere qualcosa attraverso il velo di nebbia che ci separa dall’antichità, provando ad immaginare l’atmosfera ed il contesto nel quale queste musiche venivano eseguite. Oltre al repertorio della musica sacra, che può godere di un maggior numero di testimonianze scritte in quanto gli stessi amanuensi ne conservavano memoria per loro stessi e per i posteri, sono giunte a noi anche ballate, sirventesi, tenzoni, istampitte ed altra musica secolare spesso completa di notazione. A volte inoltre questi capolavori dell’arte manoscritta sono arricchiti da miniature raffiguranti strumenti musicali e musicisti impegnati nel loro utilizzo, pertanto incrociando le informazioni musicali a quelle delle raffigurazioni è possibile tentare una ricostruzione musicale del suono medievale. L’ensemble Murmur Mori è impegnato nella ricerca della musica secolare del territorio italiano dei secoli XII, XIII e XIV: laddove di una poesia non è pervenuta la melodia, noi ne tentiamo la ricostruzione basandoci su due elementi cardine: le melodie coeve al testo ed i modi della musica popolare che spesso sono rimasti pressoché invariati dai secoli scorsi. La lettura e lo studio di queste poesie e musiche è inoltre estremamente stimolante ed a volte ha dato vita a poesie e melodie completamente create da noi, sempre utilizzando forme ed espedienti poetici tipiche della poesia giullaresca: da qui l’idea di “nuova musica antica”.
LG: Murmur Mori: un ensemble di musica antica, un laboratorio di antropologia musicale.
MM: Studiando le vite dei secoli XII-XIII e XIV, così intense di passione, gioie, dolori, misteri ed avventure, non c’è da stupirsi che da sempre il medioevo susciti un vasto interesse. Per provare a capire a pieno la musica e la storia delle persone che hanno vissuto per i tre secoli che rientrano nel nostro campo di ricerca non basterebbe una vita. La figura del giullare-trovatore è stata un anello di congiunzione tra musica di corte e popolare in quanto,tralasciando la poesia d’amore, le loro opere erano cronaca e critica in poesia di vicende riguardanti la vita quotidiana e la politica del loro mondo. Pur essendo quasi sempre di umili origini, le loro poesie li innalzavano fino al livello dell’aristocrazia del tempo alla quale si rivolgevano, aristocrazia le cui scelte determinavano la vita di tutte le persone. I loro consigli ed opinioni godevano di molta considerazione a tutti i livelli sociali e non sbaglia chi in passato li ha considerati simili a dei giornalisti in grado di innalzare o abbattere la fama di sovrani ed imperatori con i loro versi. Oggi la ricostruzione delle vicende storiche di buona parte dei secoli XII-XIII e XIV non sarebbe possibile se non avessimo queste testimonianze. Queste composizioni di trovatori e giullari errabondi non hanno cessato il loro peregrinare ed ancora oggi le possiamo ritrovare tra le pagine dei manoscritti. Vi sono poi le forme musicali popolari italiane che anche dopo secoli sono generalmente variate molto poco, come il Sonetto e la Canzone. Queste forme musicali erano già presenti nel XIII secolo e grazie alla musica popolare siamo in grado di avvicinarci al suono ed al ritmo che potevano avere i sonetti dei secoli medievali a noi pervenuti senza musica. Bisogna tendere l’orecchio alla tradizione rimasta e cercare di farne continua testimonianza, perché è anche da essa che possiamo indagare su ciò che è stato perduto tra le pieghe della storia.
LG: Autocostruzione degli strumenti: l’artigianato della memoria.
MM: Probabilmente a causa dell’assenza di interesse riguardo il raggiungimento di uno standard “industriale” di produzione, i nostri antenati medievali non ci hanno lasciato misure, proporzioni precise e materiali prediletti per la costruzione degli strumenti musicali, ma facendo tesoro dell’apparato artistico visivo a noi pervenuto: miniature, affreschi, bassorilievi etc… oltre a qualche rarissimo reperto di strumento musicale più o meno sopravvissuto al tempo e grazie al lavoro di studio e ricerca che gli artigiani conducono con meticolosa passione, è possibile costruire riproduzioni di strumenti musicali utilizzati dei secoli medievali, approssimando la nostra percezione al suono che potevano avere in origine le composizioni. L’utilizzo di riproduzioni di strumenti musicali medievali tratti da queste iconografie e ricostruiti da formidabili artigiani è fondamentale per noi. Poterli suonare, toccare ed ammirare è sempre un’emozione. La loro raffinatezza ed eleganza ci ricordano costantemente quanto il medioevo sia lontano dall’idea meschina che spesso fa parte del nostro immaginario corrotto. Gli strumenti musicali usciti da queste botteghe, seppur riproduzioni, sono veri capolavori d’artigianato. Pensate agli organi portativi: sembrano delle cattedrali sonore in miniatura! Riguardo gli strumenti musicali utilizzati nel progetto artistico Murmur Mori, abbiamo uno stupendo organo portativo realizzato da Paolo Previtali ispirato a quello suonato dal celebre musicista del XIV secolo Francesco Landini; vi sono poi una citola ed una guiterne, entrambe realizzate dal liutaio corso Ugo Casalonga, un maestro riguardo gli strumenti a corda. La citola è una riproduzione di quella scolpita nel XII secolo da Benedetto Antelami nel battistero di Parma, mentre la guiterne è ispirata a quella affrescata ad Assisi da Simone Martini nella sua Investitura di San Martino del XIV secolo. Vi sono poi due flauti traversi realizzati da Giovanni Brugnami ispirati a quelli raffigurati nelle miniature del codice E delle Cantigas de Santa Maria del XIII secolo, codice dal quale è stata tratta anche l’ispirazione per costruire la nostra “ghironda”, opera di Robert Mandel. Vi sono infine le percussioni tra le quali le naqqara, o nakers, ed il riqq costruiti da Ermanno Vignati e poi i tamburi a cornice realizzati da Biagio Panico: uno di questi suoi tamburi è ispirato a quello raffigurato nell’affresco trecentesco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti. Infine vi sono i sonagli e le campane intonate che noi stessi abbiamo recuperato da vecchi fienili del XVIII, XIX secolo riadattandoli a strumenti musicali. Questo ci permette di includere nella musica un sentimento rurale ed organico che ci mantiene vicini all’aspetto secolare e popolare a noi tanto caro. Arte ed artigianato erano uniti da un legame indissolubile in quell’epoca giovane e fiorente quale fu il medioevo, ed è nostro dovere continuare questa tradizione di qualità.
LG: Il canto popolare: una specie in via di estinzione o un mirabile caso di adattamento agli stili e alle epoche?
MM: Il canto popolare e la musica popolare in generale rappresentano l’insieme di tutte quelle maniere performative e quei modi musicali relativi ad una pratica della musica tradizionale, perché si avvale di strumenti musicali storici e artigianali, e scevra da una teoria della musica colta. Musica nata suonando e non scrivendo uno spartito. Ma ci si inganna se si pensa ad un mondo incorrotto di musica popolare dettata dall’istinto ed un mondo di musica scritta e d’autore che crea scevra da ogni influenza! Entrambi i mondi da sempre si incontrano e si scambiano suggestioni. Questo avviene da sempre, prendiamo ad esempio il caso dell’estampie Kalenda Maya del trovatore-giullare Raimbaut de Vaqueiras vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo: egli poteva ben essere considerato al pari di un compositore d’elité eppure ecco che lo ritroviamo a scrivere le parole ad una melodia che aveva sentito suonare da due giullari vagabondi che si esibivano a corte. Ci sono melodie del XIII secolo che troviamo in ballate dal testo a tema popolaresco e che ritroviamo identiche in brani per la liturgia in latino dello stesso periodo: è il caso di Veris ad imperia e A lentrade del tens clar, ascoltabili nel nostro album Dançando la fressca Rosa.
Dalla fine del 1800 le registrazioni sul campo effettuate dagli etnomusicologi ci hanno restituito il suono della musica popolare del loro tempo, senza il lavoro di Diego Carpitella, Alan Lomax e Roberto Leydi molta della musica italiana tradizionale sarebbe stata dimenticata e queste registrazioni sono molto preziose per noi, fondamentali per cercare di ricostruire nella nostra musica un suono genuino, carpendone gli aspetti che possono essere rimasti invariati nel tempo, seguendo a ritroso le orme di un cantastorie del secolo scorso per scorgere in lontananza il suo antenato giullare. Per altro l’etnomusicologia anche prima dell’avvento della registrazione esisteva: Athanasius Kircher, storico tedesco del XVII secolo, descrisse le tarantelle pugliesi da lui ascoltate arricchendo con spartiti la sua pubblicazione. Dal secolo scorso certamente la cultura di massa ha iniziato gradualmente ad infiltrarsi e molte pratiche musicali sono scomparse per lasciar spazio a juke-box e radio atte a propagare una musica confezionata, ma è ancora curioso notare come le registrazioni di musicisti di strada effettuate in giro per il mondo da Alan Lomax dagli anni ’30 agli anni ’50 siano spesso state rielaborate ed utilizzate nella musica pop. Che lo si voglia o no, sembrerebbe che questa musica atavica ci leghi a sé e spesso ritorni in superficie in maniera più o meno marcata. Nel piccolo borgo montano in cui viviamo il canto spontaneo è ancora praticato, ma cambia lo scenario in cui lo si ritrova. Una signora del paese ci ha raccontato che quando era bambina tutti cantavano e di continuo. La musica non poteva esistere se non c’era qualcuno a praticarla conferendo a quest’arte un’importanza difficile per noi da immaginare, essa non era mai “sottofondo” ma vero aiuto e sostentamento: magico e trascinante era il poterla ascoltare o eseguire e così era anche nei secoli medievali! Fino agli anni ’50 il paese era circondato da enormi prati coltivati, terreni che erano stati sottratti al bosco per sopravvivere coltivandoli con cura. Mentre si lavorava si cantava sempre, ma senza accompagnamento di strumenti musicali, le mani del resto erano impegnate. Gradualmente l’industrializzazione dell’agricoltura e l’avanzare dell’urbanizzazione hanno portato i contadini a trasformarsi in operai. Da quel momento i canti hanno smesso di echeggiare di valle in valle come ai tempi in cui l’economia alimentare era consapevolmente legata alla terra, ma venivano comunque cantati in occasioni di festa o quando ci si ritrovava in osteria.
In questo passaggio cambiò qualcosa anche nel modo di eseguirli, un’altra testimone e profonda conoscitrice del canto spontaneo ci ha raccontato che un tempo si cantava seguendo “il tempo del rastrello”, un andamento lento e continuo come il respiro. Venne poi la fisarmonica usata come accompagnamento che portò il canto ad un ritmo molto più spedito ed, a suo dire, privandolo della sua antica bellezza. Anche oggi vi sono occasioni in cui la gente si ritrova per cantare, ma con sempre meno frequenza. Oggi il canto non è più di tutti, non è più per ogni luogo e spesso è una libertà considerata follia: provate a cantare camminando per strada! Interrogarsi sul ruolo di unione ed aggregazione sociale che la musica crea in una comunità è fondamentale per comprendere in quali modi essa possa sopravvivere presentandosi davvero spontaneamente come segno di una partecipazione attiva delle persone, che tendono oggi invece ad essere gradualmente sempre più passive e confinate.
LG: Murmur Mori è un progetto certamente atipico nel panorama musicale nostrano, ma sono certo che tutti i componenti dell’ensemble si confrontino quotidianamente con la frenesia ipercinetica della società odierna e con gli stimoli sonori e sensoriali della nostra epoca. Nei vostri ascolti c’è spazio per il linguaggio musicale contemporaneo, di qualunque forma e stile?
MM: Per quanto riguarda noi, cioè Mirko e Silvia, le nostre scelte di vita ci hanno portato a vivere al margine della società. Da parecchi anni viviamo in un piccolo borgo alpino abitato da poche persone, i ritmi della vita sono ancora piuttosto lenti e le stagioni con le loro peculiarità influiscono ancora sul quotidiano. L’aver freddo d’Inverno ti spinge a desiderare, e magari celebrare come avveniva in passato, l’arrivo della Primavera; i colori dell’Autunno ti portano a contemplare, un’azione ormai quasi dimenticata e considerata, forse, una perdita di tempo. Non abbiamo una televisione in casa, non abbiamo riscaldamento a gas ma solo una stufa che con il suo fuoco illumina la casa donandoci armonia e tepore. Possibilmente non utilizziamo la luce elettrica delle stanze e una volta calate le tenebre, ci troviamo più a nostro agio con la luce delle candele. Questi piccoli dettagli sono per noi piacevole routine quotidiana, ma ci rendiamo conto di quanto questo modo di vivere ci abbia allontanati dalla società di oggi. Delle volte, viaggiando per i concerti o per studio, ci ritroviamo nelle città o nelle case di amici che vivono in luoghi affollati, alla sera siamo così esausti e confusi da avere persino mal di testa! Rifuggiamo il più possibile i frenetici stimoli sensoriali, senza condurre una vita di stenti beninteso, però cercando di eliminare il superfluo che al giorno d’oggi è veramente troppo. Questo ci permette di rimanere concentrati, senza subire “violente” intrusioni esterne o distrazioni. Vivendo in questa maniera il quotidiano siamo giunti istintivamente a focalizzare ogni tipo lettura e ascolto musicale solo ed unicamente verso il nostro maggiore interesse: il medioevo con la sua storia ed arte. Ciononostante il linguaggio musicale contemporaneo è inevitabile come lo è per qualsiasi musica concepita nel tempo precedente alle registrazioni audio. Ogni interprete, sia che esegua un repertorio di musica antica o del periodo romantico, immetterà nella sua esecuzione dei linguaggi del suo tempo. Questo pensiero può dare un senso di vertigine perché ci pone dinanzi alla realizzazione che non potremo mai ascoltare il suono originale nella sua purezza, neppure se presente in partiture musicali dettagliate, essendo invalicabile il muro dell’esecutore e dello strumento.
LG: Il recupero della tradizione è anche il recupero di un’identità sul punto di essere dimenticata: il ruolo di Internet nella preservazione del passato umano e artistico.
MM: La nostra opinione riguardo ad internet è molto semplice: esso è strumento e come tale deve servire, non essere servito. L’utilizzo di questo mezzo può essere davvero formidabile, per esempio ad oggi sono disponibili tantissimi manoscritti digitalizzati che consentono un progresso della ricerca inimmaginabile solo fino a poco tempo fa. Ecco che ora chiunque può documentarsi studiando le stesse fonti prima irreperibili se non per persone privilegiate o addette ai lavori. Vengono continuamente scoperte incredibili novità da gente mossa da una sincera passione che li porta ad esaminare, spesso con maggior meticolosità dei ricercatori ufficiali, questo materiale, riscrivendo continuamente la storia ed arricchendola di dettagli scovati direttamente tra le righe di questi manoscritti; opere che appartengono all’umanità e grazie ad internet divengono alla portata di chiunque voglia informarsi, approfondire, studiare. Ma quanto durerà tutto questo? Quando e come giungerà il crepuscolo della rete? Cosa potremmo perdere quel giorno? Questi dubbi ci convincono che le scoperte più valide “pescate” nel grande mare di internet debbano concretizzarsi in forma fisica, magari attraverso pubblicazioni, e non rimanere solo nell’astratto mondo dell’etere: troppo sarebbe il rischio di perderne memoria!
LG: Grazie.