Intervista a cura di Xavier Julien-Laferrière:

Violinista de “Orchestre philharmonique de Radio France”, Direttore Artistico di “Festes Baroques en terre des Graves et du Sauternais”, professore del conservatorio “Francis Poulenc / CRR” di Tours
Settembre 2022

D: Nella maggior parte dei registri notarili non ci sono tracce di musica, come possiamo sapere che le poesie in essi contenute fossero cantate? Fanno parte della tradizione orale o ci sono antiche testimonianze a riguardo?

R: I brani che abbiamo musicato, tratti dai registri notarili di Bologna, sono stati trascritti dai notai e riportano a lato la dicitura “ballata” o “cantilena”. Malgrado manchi la notazione musicale è quindi sicuro che fossero cantati e musicati.
Per altre liriche invece è evidente dai segni grafici che troviamo sul testo, come nel caso della ripresa della ballata “Pur bii del vin, comadre”, dove un simbolo a forma di parentesi ci indica gli inizi delle strofe e di conseguenza dove va posizionato il ritornello. I brani (canzoni, sonetti e tenzoni) contenuti nel manoscritto Vaticano Latino 3793, che viene definito infatti canzoniere malgrado manchi la notazione musicale, erano sicuramente performati con accompagnamento musicale. Nel ricostruire la musica, le forme metriche dei testi poetici ci indicano il loro carattere musicale. Ad esempio la ballata, legata a situazioni conviviali alle quali si partecipava appunto ballando, con testo in lingua volgare esisteva già nel XIII secolo e questi testi ne sono la prova. Oltre a questo, ciò che ci indica la loro natura popolare è anche il contesto storico. Esibizioni di cantori e giullari erano all’ordine del giorno nelle piazze, come testimoniato dagli statuti comunali di Bologna del 1288; precisamente lo stesso periodo delle ballate dei Memoriali Bolognesi. In questi anni inoltre nasceva la Lauda Spirituale, giullarata sacra per parlare in volgare al popolo di Dio. Le composizioni dal carattere più profano volevano essere eliminate dalle piazze poiché sovrastavano i predicatori che predicavano la parola di Dio devotamente, proprio nello statuto del 1288 si nominano in quanto banditi i cantori francesi che portavano le liriche dell’amor cortese e le chanson de geste (che erano ben amate e comprese dal popolo italiano dei comuni e la cui eredità diretta sarà riscontrabile fino agli inizi del 1900 nei cantori di strada siciliani). La vita quotidiana nel periodo Medievale si svolgeva principalmente all’aperto e le attività lavorative, inclusi i banchi dei notai, si trovavano sulla strada, spesso sotto ai portici ancora presenti in molte città medievali come Bologna. Questa è la possibile origine di alcuni dei testi poetici vernacolari bolognesi del 1200 che i notai hanno trascritto nei loro registri ascoltandoli direttamente dalla fonte. Così come avveniva nel canto piano medievale, la tradizione orale era l’unico mezzo di trasmissione dei canti, proprio come è avvenuto per i canti popolari della tradizione del canto spontaneo del XIX-XX prima dell’avvento delle registrazioni sul campo, dei dischi e delle ricerche di etnomusicologia. I notai del XIII secolo che avevano accesso alla scrittura hanno agito come ricercatori, collezionisti di storie e poeti per lasciare memoria di quei canti. Sappiamo quindi che molte delle poesie che sono state scritte in documenti, sono l’unica testimonianza che abbiamo della tradizione orale popolare. Le poesie contenute in questi documenti sono spesso semplicemente appuntate nella forma definita dai paleografi come “traccia”, ovvero come appunti slegati dal contenuto del manoscritto o del documento, ad esempio una scritta in volgare a margine di una pagina che contiene un testo latino, una scritta che si presenta apposta dalla stessa mano ma in una direzione o posizione diversa, ecc…  Il caso dei Memoriali Bolognesi è diverso perché le poesie sono impaginate perfettamente all’interno dei libri con la stessa cura degli atti notarili; difatti la cultura dei notai, a differenza di quella misteriosa delle tracce, mostra una vera consapevolezza nel voler tramandare il patrtimonio poetico vernacolare. I notai furono i primi ad essere mediatori tra la cultura scritta e la lingua parlata del popolo, dovendo stilare atti e contratti per popolani e dovendo trascrivere le loro dichiarazioni, a volte nel volgare da loro parlato. Questo sicuramente li portava a comprendere meglio anche le forme poetiche che si sviluppavano nei canti popolari e tra i giullari di strada, anche ad apprezzarle e magari poi riportarle come è avvenuto in tantissimi atti notarili di tutta l’Italia medievale, i quali continuano ad essere le fonti più ricche di scritti poetici in volgare. Nei Memoriali Bolognesi sono contenute anche poesie d’autore come di Dante, le cui poesie venivano cantate da musicisti di corte, di strada o dal popolo. In una celebre novella di Franco Sacchetti l’Alighieri inorrisce ed esplode in uno scatto d’ira sentendo cantare i suoi versi intonati a tempo di incudine da un fabbro che non ricordava bene le parole a memoria e le ingarbugliava. Nei registri notarili compaiono inoltre poesie in lingue volgari scritte da notai, essendo i poeti più celebri del medioevo italiano anche dei notai: Giacomo da Lentini, Bonagiunta Orbicciani, Francesco da Barberino, Brunetto Latini, Lapo Gianni, Jacopone da Todi, Rinaldo d’Aquino e molti altri ancora… Il notaio poeta, o che preserva la poesia, è una particolarità nata all’ombra dei comuni medievali italiani. I notai hanno trascritto, come affermava Carducci, quelle poesie che erano più note, che passavano di bocca in bocca, e perciò che erano sicuramente cantate. Cercare di ricostruire il suono di quelle rime, restituendo voce e musica a ciò che ora è solo considerato come un capitolo di storia letteraria è l’obiettivo primario del progetto Murmur Mori. Anche le forme metriche ci indicano là dove è un sonetto o dove una ballata, che la musicalità e la poesia scritta andavano di pari passo nelle piazze d’Italia. Altra spia linguistica sta nel fatto che viene ribadito all’interno di buona parte di questi stessi testi la presenza della danza di gruppo, es: carola, rota…

D: Come ricostruite la forma musicale mancante ai testi autentici?

R: La prima indagine da fare per ricostruire una melodia è localizzare il periodo e l’area di scrittura del testo. Successivamente accostarlo a melodie dell’area interessata a noi giunte, siano esse melodie coeve tratte dai manoscritti di area italiana, che melodie popolari e tradizionali di secoli più recenti. Nella musica popolare e tradizionale vi sono modalità di perfomance ed esecuzione musicale che permangono e sopravvivono per lunghi periodi di tempo, questi possono aiutarci ad immaginare modi di far musica diversi.
Bisogna stare attenti a non proseguire una interpretazione performativa troppo legata alle forme ormai divenute canone dell’interpretazione della musica medievale, poiché questo sta creando una tradizione a parte che si basa su scelte stilistiche e musicali che sono spesso derivate da canoni interpretativi otto/novecenteschi, e noi crediamo che senza la conoscenza delle modalità performative folk e tradizionali la ricostruzione della musica popolare tende a divenire altra cosa da come era praticata, ascoltata e vissuta durante il Medioevo. Un esempio emblematico di come una composizione possa essere fraintesa e dogmaticizzata in una pratica musicale che non le appartiene è la nota “Tarantella del Gargano”, in realtà sonetto del cantore pugliese Andrea Sacco “ Accomë j’eia fa’ p’ama ‘sta donnë ”, da lui cantato e suonato su chitarra battente. La sua composizione è stata eseguita davanti ad Alan Lomax che lo registrò negli anni 50. La registrazione originale, splendida, è la voce disperata di Andrea Sacco che si accompagna con una chitarra incalzante e cupa. Questo componimento è stato ripreso nel tempo da svariati musicisti di riproposta “folk colta” che l’hanno a tal punto arrangiata che ad oggi viene erroneamente da alcuni ancora considerata una composizione barocca del 1600! Un altro fattore da tenere in considerazione nella composizione o ricostruzione di una melodia è la parola in quanto è la principale fonte musicale di un testo senza notazione musicale. Ogni lingua ed ogni dialetto hanno accenti e cadenze che mostrano in modo diretto il loro ritmo e intento musicale. Pronunciare le parole è il primo passo, identificarne la forma dialettale e fare paralleli con i dialetti tutt’ora esistenti, che in Italia sono ancora ampiamente parlati e nella musica tradizionale e popolare utilizzati esclusivamente. Lo schema metrico della poesia può dirci come la lingua veniva pronunciata e performata, è importante tenere conto della volontà narrativa di questi testi, questo serve a creare un modo di eseguire il testo che sia il più fedele possibile alle parole, alla loro musicalità, a quello che vogliono trasmettere emotivamente e raccontare al pubblico. Noi perciò cerchiamo di unire entrambe le suggestioni, quelle di melodie italiane del periodo storico del testo preso in esame, e le modalità performative della musica popolare, andando a creare una melodia che possa essere storicamente sensata per il testo: dalle fonti medievali prendiamo i dati storici, le strutture poetiche dei testi e apprendiamo le forme melodiche sulle quali basi elaborare della musica. Unendo poi le informazioni storiche a quelle geografiche possiamo attraverso le miniature ed altre testimonianze capire quali strumenti musicali utilizzare perché siano adatti e plausibili per il contesto storico del testo. Dalla musica popolare invece prendiamo i ritmi, l’approccio vocale, le scale modali. Le melodie medievali, ci giungono dalle fonti manoscritte. Le performance popolari dalle vecchie registrazioni sul campo o dalla diretta conoscenza dei canti popolari che abbiamo la fortuna di poter vivere e partecipare qui sulle Alpi, dove molti anziani spesso si ritrovano a cantarli nelle baite.

D: Qual’è il vostro processo compositivo? Da semplici melodie già in circolazione della musica tradizionale oppure sono composizioni originali?

R: Esistono delle melodie che noi utilizziamo come modello e base di partenza sulla quale creare qualcosa di nuovo, ad esempio sappiamo che Adam de la Halle ne “Le Jeu de Robin et Marion” ha utilizzato melodie popolari del suo tempo, inoltre lui scrisse l’opera mentre si trovava alla corte di Napoli. Il manoscritto che contiene i Carmina Burana ha circolato in Italia nel 1200 o nel 1300 e lo sappiamo perché contiene dei testi che hanno tracce di lingua friulana, perciò alcune di quelle musiche goliardiche possono essere una buona base per ricostruire il suono di un canto satirico o bacchico. Abbiamo poi saltarelli e danze, ed i testi che musichiamo sottolineano spesso la presenza della danza, popolare e svolta all’aperto. Da questa base storica confrontiamo le pratiche più vicine, dagli accompagnamenti musicali alle danze circolari del ballu tundu sardo al canto spontaneo tradizionale. L’improvvisazione ha un ruolo chiave perché non potendo esser stati fisicamente presenti nel Medioevo per poter udire queste performance, si tratta di ricostruire quella musica utilizzando tutti i dati che abbiamo, selezionandoli il più correttamente possibile e performarli nel modo più naturale possibile, con le scelte più plausibili. Ovviamente la musica popolare e tradizionale nel tempo è mutata, ma ci sono delle forme che son rimaste atavicamente le stesse e si ripropongono, come la natura modale del canto spontaneo là dove non è accompagnato da strumenti, l’accompagnarsi nel canto con uno strumento a corde o il tamburo per accompagnare danze o richiamare l’attenzione dell’auditorio. Si tratta di ricostruire la situazione o la sensazione più vicina possibile con i dati storici e musicali che abbiamo.

D: Come scegliete gli strumenti musicali? 


R: 
Inizialmente è bene contestualizzare il testo che si vuole musicare, di che periodo è? Chi lo ha scritto? Dove è stato scritto? Una volta avuta risposta a queste domande si può immaginare il contesto in cui venne performato in base al periodo e al luogo. La localizzazione geografica cambia di certo le possibilità ritmiche, i tipi di strumenti utilizzati. Dal Nord al Sud dell’Italia ci sono grandi differenze che conosciamo sia attraverso la storia degli strumenti e delle iconografie medievali, che grazie all’eredità della musica tradizionale, la quale ci rivela le sonorità che hanno prevalso nella storia di un luogo. Su queste basi scegliamo poi come arrangiare un brano. La ricchezza di diversità di forme linguistiche in Italia va di pari passo con le differenze musicali, che si possono vedere mutare in base all’area geografica: gli strumenti musicali variano tra Nord, Centro e Sud, ad esempio i tamburelli a sonagli con i ritmi caldi della Taranta, Pizzica o della Tamorra nascono nel Sud, se da lì saliamo vediamo un persistere di tamburelli nel Centro, e un ruolo molto meno importante nel Nord dove invece troviamo tradizioni vocali più complesse.

D: Qual’è la vostra opinione riguardo ai vostri primi album, decisamente più folk come Radici, La Morte dell’Unicorno e  Joi, Solatz e Dolor? Eseguite ancora quel repertorio?

R: No, quel repertorio non è più eseguito perché sia la nostra strumentazione che i nostri ambiti di ricerca sono cambiati completamente. Il progetto musicale e artistico Murmur Mori ha sempre avuto un profondo interesse nell’utilizzo storico della musica come veicolo di trasmissione di informazioni, il raccontare storie. Nel 2015 nacque Murmur Mori ed il primo passo intrapreso in questo percorso ci ha avvicinati alla tradizione musicale popolare. La figura del cantastorie è sempre stata la nostra figura guida. I brani dei dischi vecchi erano un compendio di storie italiane, come quella di Alarico e il fiume Busento, o leggende e fiabe come quella di Colapesce, o su personaggi del folklore popolare come la figura del Götwiarghini. Tutte storie e racconti che un tempo si narravano attorno al fuoco tratte da: le fiabe raccolte da Italo Calvino, interviste sul campo di saggi popolani, leggende messe in poesia da medievisti pionieri quali Giosuè Carducci.
Un giullare al suo tempo portava in giro le storie e i racconti mitici che poteva apprendere, per istruire il suo pubblico su temi di attualità, narrare le gesta di un condottiero o insegnare una morale. Avvicinandoci a comporre un repertorio da cantastorie ci avviciniamo ai modi musicali e performativi della musica popolare e scopriamo che quella del cantastorie è una figura sopravvissuta a lungo nella tradizione musicale popolare italiana, abbiamo al nord il Barbapedana milanese o il cantastorie siciliano, di uno dei quali abbiamo una preziosa registrazione di Alan Lomax del 1950 in cui canta di Orlando e Rinaldo in una piazza pubblica.Queste figure rappresentano i diretti discendenti dei giullari medievali, perciò la nostra ricerca ci ha portati a scavare ancora più a fondo per scoprire quale fosse il possibile repertorio di un giullare medievale, restituendogli però quello che crediamo essere il carattere popolare che lo contraddistingueva e che spesso viene obliato. Il fatto che proprio nella musica popolare italiana siano sopravvissuti modi performativi considerati eredi del Medioevo, testimoniati anche dai loro contenuti (il ciclo carolingio cantato in una piazza siciliana ancora nel 1950!) ci ha spinti ad indagare le fonti medievali. Ciò che rimane per noi fondamentale, è che la musica possa raccontare delle storie, in Italia il Rinascimento è considerato il momento più alto e culturalmente fertile, ma se si conoscessero di più le storie che i giullari del 1200 cantavano in giro per i comuni, siamo certi che l’idea che si ha del Medioevo italiano sarebbe ben diversa. Fortunatamente molti storici contemporanei stanno riuscendo a correggere e confutare le errate opinioni affibiate al lunghissimo Medioevo, lavoro che già in Francia Régine Pernoud aveva iniziato a svolgere negli anni 40, ma ancora ci sono troppi aspetti che non vengono presi in considerazione e che i testi in lingua volgare ci hanno tramandato. I testi poetici erano fatti per essere cantati ed è necessario farlo di nuovo se vogliamo conoscere meglio vite, culture e fermento artistico dei secoli XII-XIII in Italia. Essendo questo un campo in cui è necessario riportare in luce qualcosa di dimentico, lì in quel periodo storico stiamo continuando a ricercare.

D: La durata dei vostri album spesso è breve, è una scelta voluta?


R: 
In ogni cd ci prendiamo il tempo che serve, se abbiamo in mente un progetto e pronte delle canzoni le andiamo a registrare senza attendere di avere un numero preciso o standard di riproduzione audio. Ad esempio: ora stiamo lavorando ai nuovi brani che faranno parte del nuovo programma, stiamo ricostruendo due frammenti incompleti di melodia e poesia amorosa di fine 1100 e metà 1200 e stiamo lavorando su un documento del 1240 della Biblioteca Ambrosiana che contiene un canto popolare di area piemontese / piacentina di estremo interesse. Ai nostri strumenti musicali inoltre si è aggiunta una citola ricostruita sulla base di un bassorilievo del battistero di Parma. Nemmeno per questi nuovi lavori ci porremo il problema della possibile durata, ed abbiamo già degli obiettivi di registrazione entro l’anno.



D: Tutto ciò che viene pubblicato da voi è reperibile su Internet, come riuscite a vendere i vostri album in questo modo? Qual’è la vostra filosofia riguardo al Web?

R: 
Internet è qualcosa di eccezionale, se utilizzato in maniera costruttiva. Un fenomenale mezzo di informazione e comunicazione e come tale andrebbe utilizzato.
La nostra idea è quella di mantenere il livello della comunicazione il più alto possibile, evitando pubblicazioni spazzatura o pensieri personali che non hanno nulla a che vedere con il nostro progetto artistico e le nostre ricerche.Un mezzo di esclusivo utilizzo professionale, che possa portare vantaggi sia a noi che a chi legge. Rispetto alle vendite dei dischi, internet ad oggi è la nostra principale fonte di sostentamento come fosse un gigantesco e mondiale negozio di dischi, poiché noi stessi acquistiamo parecchi cd da internet altrimenti irreperibili nei pochi negozi di dischi rimasti.

 

Intervista a cura di Luca Giuoco:

Ideatore del blog Collettivo Inconscio
Febbraio 2023

 

Nuova Musica Antica: un’idea e al tempo stesso un metodo. L’ensemble Murmur Mori, nato nel 2015 per volontà di Mirko Volpe e Silvia Kuro, si concentra sull’intenzione di dar suono ad una ricchissima eredità poetica popolare, mettendo in musica antiche poesie in volgare, incrociando la musica popolare tradizionale italiana con le fonti manoscritte medievali. Ciò che possiamo ascoltare è musica nuova perché scritta da autori contemporanei ma antica in quanto frutto di uno studio meticoloso e pertanto filologicamente molto vicina alle intenzioni originali. Un progetto coraggioso, del tutto scevro da qualunque deriva modernista e condotto con coerenza e passione.

LG: Nuova musica antica: ricostruzione o riscrittura?

MM: Come suonava la musica medievale ai suoi tempi? Quale il suono degli strumenti musicali? Queste domande originano da sempre vere e proprie battaglie tra musicologi, studiosi e musicisti, ma nemmeno oggi abbiamo una risposta definitiva e probabilmente mai l’avremo. Dobbiamo ricordare che non esistevano dei canoni fissi di accordatura e soprattutto di costruzione degli strumenti musicali. Forse questo pensiero potrebbe apparire sconcertante, però i secoli medievali erano molto diversi dai nostri godendo di una maggiore libertà artistica ed interpretativa. Nei vari romanzi di Tristano per esempio, il cavaliere e musicista accorda e scorda la sua arpa continuamente in base al sentimento dei brani che deve eseguire o della voce che deve accompagnare. In Flamenca, romanzo occitano del XIII secolo, vi sono delle bellissime descrizioni di feste di corte dove in enormi stanze all’interno di castelli, dopo aver desinato, in ogni angolo si potevano udire canti ed arie sugli argomenti più disparati e poi melodie provenienti da un vasto assortimento di strumenti musicali che azzardavano accordature diverse. Tutti volevano attirare l’attenzione per ricevere doni e gloria grazie alla loro arte. Non caos, ma tanti artisti che si esibiscono cercando l’attenzione dell’uditorio, intrigandolo con storie, canzoni e musiche ben eseguite, note e sconosciute. Nel Novellino, raccolta italiana di novelle redatta nel XIII secolo, nella novella LXIV i giovani donzelli cantano nuove arie e dei giudici decidono quali saranno le opere da scrivere nei manoscritti per conservarne memoria e quali invece hanno ancora bisogno dei loro consigli per poter migliorare. Per fortuna alcune di queste fonti manoscritte sono sopravvissute ai secoli ed alle vicissitudini umane e naturali, conservando al loro interno le testimonianze musicali riportate direttamente dalle mani dei nostri antenati medievali. Grazie a queste fonti è possibile scorgere qualcosa attraverso il velo di nebbia che ci separa dall’antichità, provando ad immaginare l’atmosfera ed il contesto nel quale queste musiche venivano eseguite. Oltre al repertorio della musica sacra, che può godere di un maggior numero di testimonianze scritte in quanto gli stessi amanuensi ne conservavano memoria per loro stessi e per i posteri, sono giunte a noi anche ballate, sirventesi, tenzoni, istampitte ed altra musica secolare spesso completa di notazione. A volte inoltre questi capolavori dell’arte manoscritta sono arricchiti da miniature raffiguranti strumenti musicali e musicisti impegnati nel loro utilizzo, pertanto incrociando le informazioni musicali a quelle delle raffigurazioni è possibile tentare una ricostruzione musicale del suono medievale. L’ensemble Murmur Mori è impegnato nella ricerca della musica secolare del territorio italiano dei secoli XII, XIII e XIV: laddove di una poesia non è pervenuta la melodia, noi ne tentiamo la ricostruzione basandoci su due elementi cardine: le melodie coeve al testo ed i modi della musica popolare che spesso sono rimasti pressoché invariati dai secoli scorsi. La lettura e lo studio di queste poesie e musiche è inoltre estremamente stimolante ed a volte ha dato vita a poesie e melodie completamente create da noi, sempre utilizzando forme ed espedienti poetici tipiche della poesia giullaresca: da qui l’idea di “nuova musica antica”.

LG: Murmur Mori: un ensemble di musica antica, un laboratorio di antropologia musicale.

MM: Studiando le vite dei secoli XII-XIII e XIV, così intense di passione, gioie, dolori, misteri ed avventure, non c’è da stupirsi che da sempre il medioevo susciti un vasto interesse. Per provare a capire a pieno la musica e la storia delle persone che hanno vissuto per i tre secoli che rientrano nel nostro campo di ricerca non basterebbe una vita. La figura del giullare-trovatore è stata un anello di congiunzione tra musica di corte e popolare in quanto,tralasciando la poesia d’amore, le loro opere erano cronaca e critica in poesia di vicende riguardanti la vita quotidiana e la politica del loro mondo. Pur essendo quasi sempre di umili origini, le loro poesie li innalzavano fino al livello dell’aristocrazia del tempo alla quale si rivolgevano, aristocrazia le cui scelte determinavano la vita di tutte le persone. I loro consigli ed opinioni godevano di molta considerazione a tutti i livelli sociali e non sbaglia chi in passato li ha considerati simili a dei giornalisti in grado di innalzare o abbattere la fama di sovrani ed imperatori con i loro versi. Oggi la ricostruzione delle vicende storiche di buona parte dei secoli XII-XIII e XIV non sarebbe possibile se non avessimo queste testimonianze. Queste composizioni di trovatori e giullari errabondi non hanno cessato il loro peregrinare ed ancora oggi le possiamo ritrovare tra le pagine dei manoscritti. Vi sono poi le forme musicali popolari italiane che anche dopo secoli sono generalmente variate molto poco, come il Sonetto e la Canzone. Queste forme musicali erano già presenti nel XIII secolo e grazie alla musica popolare siamo in grado di avvicinarci al suono ed al ritmo che potevano avere i sonetti dei secoli medievali a noi pervenuti senza musica. Bisogna tendere l’orecchio alla tradizione rimasta e cercare di farne continua testimonianza, perché è anche da essa che possiamo indagare su ciò che è stato perduto tra le pieghe della storia.

 LG: Autocostruzione degli strumenti: l’artigianato della memoria.

MM: Probabilmente a causa dell’assenza di interesse riguardo il raggiungimento di uno standard “industriale” di produzione, i nostri antenati medievali non ci hanno lasciato misure, proporzioni precise e materiali prediletti per la costruzione degli strumenti musicali, ma facendo tesoro dell’apparato artistico visivo a noi pervenuto: miniature, affreschi, bassorilievi etc… oltre a qualche rarissimo reperto di strumento musicale più o meno sopravvissuto al tempo e grazie al lavoro di studio e ricerca che gli artigiani conducono con meticolosa passione, è possibile costruire riproduzioni di strumenti musicali utilizzati dei secoli medievali, approssimando la nostra percezione al suono che potevano avere in origine le composizioni. L’utilizzo di riproduzioni di strumenti musicali medievali tratti da queste iconografie e ricostruiti da formidabili artigiani è fondamentale per noi. Poterli suonare, toccare ed ammirare è sempre un’emozione. La loro raffinatezza ed eleganza ci ricordano costantemente quanto il medioevo sia lontano dall’idea meschina che spesso fa parte del nostro immaginario corrotto. Gli strumenti musicali usciti da queste botteghe, seppur riproduzioni, sono veri capolavori d’artigianato. Pensate agli organi portativi: sembrano delle cattedrali sonore in miniatura! Riguardo gli strumenti musicali utilizzati nel progetto artistico Murmur Mori, abbiamo uno stupendo organo portativo realizzato da Paolo Previtali ispirato a quello suonato dal celebre musicista del XIV secolo Francesco Landini; vi sono poi una citola ed una guiterne, entrambe realizzate dal liutaio corso Ugo Casalonga, un maestro riguardo gli strumenti a corda. La citola è una riproduzione di quella scolpita nel XII secolo da Benedetto Antelami nel battistero di Parma, mentre la guiterne è ispirata a quella affrescata ad Assisi da Simone Martini nella sua Investitura di San Martino del XIV secolo. Vi sono poi due flauti traversi realizzati da Giovanni Brugnami ispirati a quelli raffigurati nelle miniature del codice E delle Cantigas de Santa Maria del XIII secolo, codice dal quale è stata tratta anche l’ispirazione per costruire la nostra “ghironda”, opera di Robert Mandel. Vi sono infine le percussioni tra le quali le naqqara, o nakers, ed il riqq costruiti da Ermanno Vignati e poi i tamburi a cornice realizzati da Biagio Panico: uno di questi suoi tamburi è ispirato a quello raffigurato nell’affresco trecentesco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti. Infine vi sono i sonagli e le campane intonate che noi stessi abbiamo recuperato da vecchi fienili del XVIII, XIX secolo riadattandoli a strumenti musicali. Questo ci permette di includere nella musica un sentimento rurale ed organico che ci mantiene vicini all’aspetto secolare e popolare a noi tanto caro. Arte ed artigianato erano uniti da un legame indissolubile in quell’epoca giovane e fiorente quale fu il medioevo, ed è nostro dovere continuare questa tradizione di qualità.

LG: Il canto popolare: una specie in via di estinzione o un mirabile caso di adattamento agli stili e alle epoche?

MM: Il canto popolare e la musica popolare in generale rappresentano l’insieme di tutte quelle maniere performative e quei modi musicali relativi ad una pratica della musica tradizionale, perché si avvale di strumenti musicali storici e artigianali, e scevra da una teoria della musica colta. Musica nata suonando e non scrivendo uno spartito. Ma ci si inganna se si pensa ad un mondo incorrotto di musica popolare dettata dall’istinto ed un mondo di musica scritta e d’autore che crea scevra da ogni influenza! Entrambi i mondi da sempre si incontrano e si scambiano suggestioni. Questo avviene da sempre, prendiamo ad esempio il caso dell’estampie Kalenda Maya del trovatore-giullare Raimbaut de Vaqueiras vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo: egli poteva ben essere considerato al pari di un compositore d’elité eppure ecco che lo ritroviamo a scrivere le parole ad una melodia che aveva sentito suonare da due giullari vagabondi che si esibivano a corte. Ci sono melodie del XIII secolo che troviamo in ballate dal testo a tema popolaresco e che ritroviamo identiche in brani per la liturgia in latino dello stesso periodo: è il caso di Veris ad imperia  e A lentrade del tens clar, ascoltabili nel nostro album Dançando la fressca Rosa.

Dalla fine del 1800 le registrazioni sul campo effettuate dagli etnomusicologi ci hanno restituito il suono della musica popolare del loro tempo, senza il lavoro di Diego Carpitella, Alan Lomax e Roberto Leydi molta della musica italiana tradizionale sarebbe stata dimenticata e queste registrazioni sono molto preziose per noi, fondamentali per cercare di ricostruire nella nostra musica un suono genuino, carpendone gli aspetti che possono essere rimasti invariati nel tempo, seguendo a ritroso le orme di un cantastorie del secolo scorso per scorgere in lontananza il suo antenato giullare. Per altro l’etnomusicologia anche prima dell’avvento della registrazione esisteva: Athanasius Kircher, storico tedesco del XVII secolo, descrisse le tarantelle pugliesi da lui ascoltate arricchendo con spartiti la sua pubblicazione. Dal secolo scorso certamente la cultura di massa ha iniziato gradualmente ad infiltrarsi e molte pratiche musicali sono scomparse per lasciar spazio a juke-box e radio atte a propagare una musica confezionata, ma è ancora curioso notare come le registrazioni di musicisti di strada effettuate in giro per il mondo da Alan Lomax dagli anni ’30 agli anni ’50 siano spesso state rielaborate ed utilizzate nella musica pop. Che lo si voglia o no, sembrerebbe che questa musica atavica ci leghi a sé e spesso ritorni in superficie in maniera più o meno marcata. Nel piccolo borgo montano in cui viviamo il canto spontaneo è ancora praticato, ma cambia lo scenario in cui lo si ritrova. Una signora del paese ci ha raccontato che quando era bambina tutti cantavano e di continuo. La musica non poteva esistere se non c’era qualcuno a praticarla conferendo a quest’arte un’importanza difficile per noi da immaginare, essa non era mai “sottofondo” ma vero aiuto e sostentamento: magico e trascinante era il poterla ascoltare o eseguire e così era anche nei secoli medievali! Fino agli anni ’50 il paese era circondato da enormi prati coltivati, terreni che erano stati sottratti al bosco per sopravvivere coltivandoli con cura. Mentre si lavorava si cantava sempre, ma senza accompagnamento di strumenti musicali, le mani del resto erano impegnate. Gradualmente l’industrializzazione dell’agricoltura e l’avanzare dell’urbanizzazione hanno portato i contadini a trasformarsi in operai. Da quel momento i canti hanno smesso di echeggiare di valle in valle come ai tempi in cui l’economia alimentare era consapevolmente legata alla terra, ma venivano comunque cantati in occasioni di festa o quando ci si ritrovava in osteria.

In questo passaggio cambiò qualcosa anche nel modo di eseguirli, un’altra testimone e profonda conoscitrice del canto spontaneo ci ha raccontato che un tempo si cantava seguendo “il tempo del rastrello”, un andamento lento e continuo come il respiro. Venne poi la fisarmonica usata come accompagnamento che portò il canto ad un ritmo molto più spedito ed, a suo dire, privandolo della sua antica bellezza. Anche oggi vi sono occasioni in cui la gente si ritrova per cantare, ma con sempre meno frequenza. Oggi il canto non è più di tutti, non è più per ogni luogo e spesso è una libertà considerata follia: provate a cantare camminando per strada! Interrogarsi sul ruolo di unione ed aggregazione sociale che la musica crea in una comunità è fondamentale per comprendere in quali modi essa possa sopravvivere presentandosi davvero spontaneamente come segno di una partecipazione attiva delle persone, che tendono oggi invece ad essere gradualmente sempre più passive e confinate.

LG: Murmur Mori è un progetto certamente atipico nel panorama musicale nostrano, ma sono certo che tutti i componenti dell’ensemble si confrontino quotidianamente con la frenesia ipercinetica della società odierna e con gli stimoli sonori e sensoriali della nostra epoca. Nei vostri ascolti c’è spazio per il linguaggio musicale contemporaneo, di qualunque forma e stile?

MM: Per quanto riguarda noi, cioè Mirko e Silvia, le nostre scelte di vita ci hanno portato a vivere al margine della società. Da parecchi anni viviamo in un piccolo borgo alpino abitato da poche persone, i ritmi della vita sono ancora piuttosto lenti e le stagioni con le loro peculiarità influiscono ancora sul quotidiano. L’aver freddo d’Inverno ti spinge a desiderare, e magari celebrare come avveniva in passato, l’arrivo della Primavera; i colori dell’Autunno ti portano a contemplare, un’azione ormai quasi dimenticata e considerata, forse, una perdita di tempo. Non abbiamo una televisione in casa, non abbiamo riscaldamento a gas ma solo una stufa che con il suo fuoco illumina la casa donandoci armonia e tepore. Possibilmente non utilizziamo la luce elettrica delle stanze e una volta calate le tenebre, ci troviamo più a nostro agio con la luce delle candele. Questi piccoli dettagli sono per noi piacevole routine quotidiana, ma ci rendiamo conto di quanto questo modo di vivere ci abbia allontanati dalla società di oggi. Delle volte, viaggiando per i concerti o per studio, ci ritroviamo nelle città o nelle case di amici che vivono in luoghi affollati, alla sera siamo così esausti e confusi da avere persino mal di testa! Rifuggiamo il più possibile i frenetici stimoli sensoriali, senza condurre una vita di stenti beninteso, però cercando di eliminare il superfluo che al giorno d’oggi è veramente troppo. Questo ci permette di rimanere concentrati, senza subire “violente” intrusioni esterne o distrazioni. Vivendo in questa maniera il quotidiano siamo giunti istintivamente a focalizzare ogni tipo lettura e ascolto musicale solo ed unicamente verso il nostro maggiore interesse: il medioevo con la sua storia ed arte. Ciononostante il linguaggio musicale contemporaneo è inevitabile come lo è per qualsiasi musica concepita nel tempo precedente alle registrazioni audio. Ogni interprete, sia che esegua un repertorio di musica antica o del periodo romantico, immetterà nella sua esecuzione dei linguaggi del suo tempo. Questo pensiero può dare un senso di vertigine perché ci pone dinanzi alla realizzazione che non potremo mai ascoltare il suono originale nella sua purezza, neppure se presente in partiture musicali dettagliate, essendo invalicabile il muro dell’esecutore e dello strumento.

LG: Il recupero della tradizione è anche il recupero di un’identità sul punto di essere dimenticata: il ruolo di Internet nella preservazione del passato umano e artistico.

MM: La nostra opinione riguardo ad internet è molto semplice: esso è strumento e come tale deve servire, non essere servito. L’utilizzo di questo mezzo può essere davvero formidabile, per esempio ad oggi sono disponibili tantissimi manoscritti digitalizzati che consentono un progresso della ricerca inimmaginabile solo fino a poco tempo fa. Ecco che ora chiunque può documentarsi studiando le stesse fonti prima irreperibili se non per persone privilegiate o addette ai lavori. Vengono continuamente scoperte incredibili novità da gente mossa da una sincera passione che li porta ad esaminare, spesso con maggior meticolosità dei ricercatori ufficiali, questo materiale, riscrivendo continuamente la storia ed arricchendola di dettagli scovati direttamente tra le righe di questi manoscritti; opere che appartengono all’umanità e grazie ad internet divengono alla portata di chiunque voglia informarsi, approfondire, studiare. Ma quanto durerà tutto questo? Quando e come giungerà il crepuscolo della rete? Cosa potremmo perdere quel giorno? Questi dubbi ci convincono che le scoperte più valide “pescate” nel grande mare di internet debbano concretizzarsi in forma fisica, magari attraverso pubblicazioni, e non rimanere solo nell’astratto mondo dell’etere: troppo sarebbe il rischio di perderne memoria!

LG: Grazie.

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